Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 11 novembre 2015

Giuseppe Meucci racconta....





VITALIANO, IL POZZO E LA PISTOLA....

"Me lo ricordo ancora bene quel casotto quasi in cima alla pineta dei Cancelli. Sembrava una minuscola casa, una casa di nani isolata in mezzo ai pini, di pietra,  con il tetto di marsigliesi rossi, la porta di legno verde e senza finestre. Ci montavo la guardia con il mitra di plastica, cinturone ed elmetto prestato dai cugini, durante i nostri giochi di soldati e guerre: ho ancora delle foto in bianco e nero scattate dal babbo, di me bambino in pose marziali davanti a quella costruzione misteriosa, come a dire: “Di qui non si passa”. 

Non si passava, no: la porta era sempre chiusa a chiave e io non ci sono mai potuto entrare per vedere come era dentro. Era un pozzo che,  negli anni intorno alla guerra, ,aveva dato molto da fare ai nonni, che ci dovettero spendere tanti soldi. Io non lo avevo mai visto in funzione perché alla fine degli anni ’50, quando arrivai, in casa c’era già l’acqua corrente che il nonno Bepo´ era riuscito a fare arrivare da una sorgente lontana, duecento metri più in basso della casa, con un gran lavoro e grosse spese.




Giuseppe Meucci, di "guardia" al casotto del pozzo che si trovava sul poggio sopra la casa padronale




Allora, io quel pozzo non lo avevo mai visto in funzione, ma mi avevano spiegato che anni prima, quando la mia mamma era giovane, andavano lì ad attingere l’acqua da bere con le mezzine di rame. Le mezzine andavano calate con una fune per una profondità di molti metri, poi si tiravano su piene d’acqua fredda anche d’estate: un’acqua che circolava nella falda, in un dedalo misterioso di fessure nascoste fra le rocce, che andavano a finire chissà dove. Però con il passare degli anni la falda aveva cominciato a esaurirsi durante l’estate, proprio quando ce n’era più bisogno; così in un primo tempo cercarono di approfondire il pozzo scavando nella roccia per altri metri, poi alla fine lo dovettero abbandonare per cercare altre sorgenti.

Mi ci ha fatto pensare l’altro giorno l’amico Vitaliano di Marradi, quando mi ha raccontato che da ragazzo, nel dopoguerra, lui lavorò in quel pozzo con "Pistola", il muratore. Mi spiegava che il mio nonno si era rivolto al muratore perché c’era bisogno di pulire il pozzo dai detriti e poi, siccome per anni lo avevano adoperato per conservare al fresco la carne, andavano tolti anche i residui caduti in fondo per accidente.

 Vitaliano, allora ragazzo agile e molto magro, venne calato in fondo al pozzo a 16 o 18 metri con una fune legata di traverso sotto le ascelle. Il pozzo era così stretto da permettergli appena di allungare un braccio a raccogliere i detriti ai suoi piedi e poi metterli in una caldarella, che era appesa a un’altra fune sopra di lui. Quando la caldarella era piena e veniva tirata su, Vitaliano si copriva il capo con il ferro del badile senza manico, per ripararsi da tutto quello che poteva cadere: anche le gocce d’acqua facevano male, da quell’altezza. Portava con sé una candela accesa, così quando dall’alto la vedevano spengere lo tiravano su, perché voleva dire che l’ossigeno era finito e lui rischiava di morire soffocato. Arrivava su tremando per il freddo che c’era in fondo al pozzo e allora il mio nonno gli dava del vino rosso “Bi’ so, bi’ so!” (bevi su): si prese una ciucca che non ha mai dimenticato.

Bepo´, il tuo nonno, era benvoluto e stimato per la sua onestà e per l’esperienza che aveva di tanti aspetti del mondo rurale: molti, quando dovevano fare un affare importante, si rivolgevano a lui per un parere saggio e disinteressato. Gli ho sempre voluto bene” continuava Vitaliano ripescando fra i ricordi “E poi, anni prima, durante il passaggio del fronte, avevo anche avuto una pistola che era stata sua…”
E mi raccontava
 che i tedeschi, quando occupavano Marradi, avevano emesso un bando che ordinava a tutti i civili possessori di armi di consegnarle entro il tal giorno presso la caserma dei carabinieri. Allora tutti quelli che avevano un’arma regolarmente denunciata si videro costretti a consegnarla, a scanso di guai molto seri: alla fine le armi raccolte vennero caricate su un barroccio che le portò dalla caserma dei carabinieri, che era lungo la via per Palazzuolo, fino alla Casa del Fascio che stava nell’attuale via Dino Campana. C’erano molti fucili da caccia, ma anche molte pistole possedute soprattutto dai proprietari di poderi, per difesa. Arrivate alla Casa del Fascio, tutte le armi furono accatastate in una stanza a piano terra, con la finestra protetta da un’inferriata, sotto gli occhi pieni di desiderio di bambini e ragazzi, incantati da tutte quelle armi. Fra loro c’era anche Vitaliano, naturalmente; e poi c’era Valter, un bambino così piccolo e secco che passava fra le sbarre dell’inferriata. Una volta entrato, Valter riuscì a porgere agli amici un bel po’ di quelle pistole. Solo quelle a tamburo, perché le automatiche erano state chiuse dentro un armadio; comunque ne toccò una per ciascuno, ognuna con il cartellino attaccato con nome e cognome del proprietario. A Vitaliano, appunto, era toccata quella di Bepo´: era una bella rivoltella, brunita, non tanto grande, che stava ben nascosta anche addosso a un bambino. Lui per un po’ di tempo la portò sempre con sé; di notte la teneva sotto il guanciale, felice di quella compagna e completamente ignaro dei rischi che correva, finché un giorno suo padre la scoprì e gliela sequestrò. Invano tentò di conoscere dove il padre l’avesse nascosta: insistendo con la mamma, riuscì solo a sapere che il babbo doveva essere stato in soffitta, perché lei lo aveva visto tornare con dei resti di ragnatela fra i capelli. Vitaliano si arrampicò in soffitta, ma neppure la più accurata delle perquisizioni diede l’esito sperato. Da allora di quella pistola non seppe più nulla.

Così mi sono ricordato di quello che mi aveva raccontato tante volte la mia mamma: un piccolo episodio che a me, bambino, aveva sempre fatto impressione. Parlava di lei, bambina, che curiosando per la casa aveva scorto sopra un armadio una scatola, che attraeva la sua attenzione. L’armadio era molto alto e i suoi non volevano che si arrampicasse; l’impresa non fu facile ma, dai, dai, alla fine riuscì a raggiungere la scatola e ad alzare il coperchio. Probabilmente non aveva un’idea tanto precisa di cosa fosse una pistola, ma quando se la trovò fra le manine, così pesante, fredda e levigata, ne ebbe paura: aveva disobbedito, aveva toccato una cosa proibita. Zitta zitta la rimise a posto e non disse niente a nessuno; e quando da adulta raccontava questa storia, aveva un’aria di mistero che ogni volta mi incantava. Mi colpiva anche l’idea che il nonno, che io conoscevo così pacifico, tenesse in casa una pistola. “Mi racconti di quando trovasti la pistola del nonno?” devo aver chiesto più di una volta, e così il brivido era servito. “E poi che fine fece?” “Gliela portarono via i tedeschi durante il passaggio del fronte” “E poi?” “E poi, non lo so”. Ora, dopo tanti anni, so che la storia ebbe un seguito e, francamente, non me lo sarei aspettato."

Settembre 2011
Giuseppe Meucci



























Nessun commento:

Posta un commento