Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 2 marzo 2015

Quando andammo a Bengàsi

I Marradesi alla guerra di Libia (1912)
ricerca di Claudio Mercatali









Negli anni 1880 - 1890 il nostro governo cominciò a mettere gli occhi sulla Libia, che allora era una provincia dell'Impero Ottomano. Con la scusa della missione commerciale il nostro Ministero degli Esteri spedì là alcuni esploratori, che in realtà erano degli agenti, perché documentassero i siti e fornissero delle informazioni. La fotografia era una tecnica ancora agli albori che dava risultati scarsi e quindi i nostri agenti portarono in Italia soprattutto dei disegni di luoghi e città, anche pregevoli come fattura come questi qui sotto, che stuzzicarono ancora di più i nostri appetiti coloniali.


Clicca sulle immagini se le vuoi ingrandire


Il tutto avveniva un po' per spirito colonialista e molto perché all'epoca i piroscafi erano stracolmi di emigranti per l'America e sarebbe stato importante trovare uno sbocco per la nostra mano d'opera.
In realtà la Libia era una enorme distesa di sabbia che difficilmente avrebbe potuto assorbire un nostro flusso migratorio, però era anche l'ultimo lembo d' Africa conquistabile, perché l'Impero Ottomano era decrepito, sull' orlo del tracollo e nei suoi confronti avevamo la forza di compiere qualche atto di prepotenza. 

L'occasione capitò nel 1911 perché l'Impero Ottomano era minacciato nei Balcani dalla Grecia e la Bulgaria e non poteva difendere a dovere la Libia. Le sorti della guerra volsero quasi subito al meglio per noi e dopo qualche mese cominciarono i rimpatri anche se le ostilità non erano del tutto finite. Il 13 aprile 1912 giunse a Marradi il treno dei primi reduci che furono accolti in paese con tutti gli onori.

Quando la locomotiva a vapore addobbata di coccarde e nastri tricolori sferragliò sul Ponte della Lontria la banda di Marradi intonò la Marcia Reale e la gente cantò:

Viva il Re, viva il Re, viva il Re
le trombe liete squillano
Viva il Re, viva il Re, viva il Re
con esse i canti echeggiano ...




Chi vuol sapere il resto può digitare "Marcia Reale" su Internet e sentirà una musichina non sgradevole, che è l'inno nazionale di allora.
Quel giorno c'erano 4000 marradesi per le strade del paese (su un totale di 9000 abitanti) che gioivano per la vittoria e per il ritorno dei reduci. Per sapere esattamente come andarono le cose è meglio leggere il resoconto fatto il 21 aprile 1912 dal corrispondente del Corriere Mugellano, un giornale che si stampava a Borgo S.Lorenzo ...

La vittoria fu molto sentita dalla gente, anche se non si capiva bene che cosa avessimo conquistato. I Nazionalisti gioivano perché questa era una sorta di rivincita dopo i disastri della guerra d'Abissinia nel 1896, i Socialisti erano contenti perché era finita presto e i Marradesi anche perché non era morto nessun compaesano.



L'anno seguente il bravo milite Enrico Graziani venne insignito della medaglia di bronzo, consegnata dal sindaco Vincenzo Mughini il 15 giugno 1913. Ce lo ricorda questo manifesto conservato nell'Archivio storico del Comune di Marradi, che invitava la popolazione a partecipare alla cerimonia, di fronte alle scuole elementari. 


Fra i reduci della Guerra di Libia c'era anche mio nonno Attilio Piazza, che è questo qui accanto con l'elmetto coloniale rivestito di sughero contro il sole africano.
In casa c'è ancora il quadernino del suo diario "Ricordi e Pensieri della Guerra Italo - Turca, 7.1.1912, 3° Genio Telegrafisti, Bengasi". Non era fra i rimpatriati di cui abbiamo detto prima e tornò a Marradi con un altro gruppo nei mesi successivi. Sentiamo  come racconta i fatti:



L'assalto di notte      Bengasi, 17.2.1912

Ancora sotto l'impressione in me vivissima del combattimento terribile di questa notte famosa. Che notte d'inferno! Che colpi! Che scene e che strazi! Una simile notte non la passai mai dacché mi trovo in guerra e non mi succederà più e più non la scorderò campassi cento anni. Stavamo sotto la tenda a dormire quand'ecco si sentirono le vedette gridate "All'armi" e giù colpi di moschetto. Le nemiche si fanno sempre più vive invomitando qualche colpo di cannone. Non passarono tre minuti che si sentì "tetterete tetterete" grido all'armi con la tromba e allora noi tutti via il cappotto, su in piedi moschetto in mano, le tasche piene di caricatori e giù in trincea. Lo scompiglio che successe e quanti colpi abbiamo sparato non ve lo saprei dire. Si sentivano urli e grida strazianti, pallottole fischiare, i colpi dei cannoni, granate che scoppiavano da una parte shrapnel dall'altra e i colpi della marina facevano traballare tutto e quando scoppiavano tutta la massa nera e facevano dei vuoti immensi. C'era la luna e i riflettori che illuminavano tutto, ma che scene, che notte terribile. Accidenti quanti colpi!






... c'era la luna e i riflettori
che illuminavano tutto ...

Il colmo fu verso mezzanotte quando cercarono di passare i reticolati. Figuratevi che scariche! Il combattimento durò fino alle due del mattino e quando videro che man mano che si avvicinavano cadevano morti pensarono bene di scappare. Dopo tutto tornò silenzioso, solo qualcuno sparava quando vedeva qualche arabo che strisciando cercava di scappare. Alla mattina verso le 8 si poté vedere bene qua e là dei mucchi di cadaveri e feriti. Fu una bella lezione per loro; fra morti e feriti furono 200.




... il colmo fu verso mezzanotte quando cercarono 
di passare i reticolati ...











La messa di Pasqua    Bengasi  7.4.1912

Il giorno 7 giorno di Pasqua, si passò discretamente, se non bene, un po' meglio degli altri. Il nemico ci aveva fatto avvertire per mezzo dei nostri informatori che in quel giorno solenne per gl'Italiani avrebbero tentato un attacco generale in tutta la linea di difesa con la speranza di tornare in Bengasi abusando così della nostra grande festa credendoci in tale giorno tutti ubriachi. Magari si fossero provati; i nostri ufficiali avevano preso tutte le misure e precauzioni per essere pronti in caso di attacco. La giornata era bella e magnifica proprio di quelle primaverili. Noi intanto per tale giorno si era preparato un piccolo teatrino per recitare poi alla sera e in verità improvvisato così era riuscito benissimo. Alcuni giorni prima essendosi presentato al nostro capitano l'onorevole padre Geroni per chiedere quando poteva venire a celebrare la messa per noi soldati con il capitano pensò di farla celebrare il giorno di Pasqua e precisamente sul nuovo teatrino.



Geroni Francesco 
(padre Gioacchino)
di Firenzuola (Firenze)
 sul cammello, a Bengasi.
Era un frate al seguito 
delle truppe.

Sotto: la copertina del diario
di Attilio Piazza








La domenica mattina noi soldati in attesa alla pulizia generale dell'accampamento a prepararsi così a festeggiare quel giorno solenne. Il padre Geroni quando credette opportuno, stando però sempre ai comandi del capitano, incominciò la S.Messa. Si suonò l'attenti, tutti si tolsero il berretto e fermi così in un silenzio profondo un suono melodioso ruppe il silenzio; era il suono gentile di un mandolino. Fu un'improvvisata anche per il padre Geroni e rimase proprio contento Questo fu un momento veramente magico che commemorava e mentre noi con la più squisita devozione assistevamo a questo sacrificio io nelle mie preghiere pensavo che di là dal mare tutti gli sguardi vostri erano rivolti verso di me, pensavo che di là dal mare per me palpitavano tanti cuori. Fui altero di trovarmi anch'io in quelle gloriose file d'esercito pronto a difendere in caso di bisogno con tutte le mie forze l'onore della patria sacrificando così la vita anche per la Religione. A metà della messa il Reverendo Padre ci rivolse belle e commoventi parole, ci rammentò soprattutto la madre lontana, la bella Italia i parenti e infine la guerra. Alla consacrazione ci fecero sentire ancora una volta quelle note gaie dell'Ave Maria del Gounod note gaie e molto sentimentali da commuovere anche l'uomo più duro del mondo. Nessuno pensava al nemico che da un momento all'altro poteva interrompere la nostra festa. Ma no, il nemico era lungi, ben sapendo che se si fosse avvicinato sarebbero stati pronti a respingerlo. Così in mezzo alla fragranza e alla più squisita devozione dei soldati ebbe fine la S.Messa ...  



Il ghibli,    Bengasi 21 giugno 1912

Ieri notte imperversava il ghibli, come mai finora. Sotto il soffio impetuoso della bufera ululavano i palmizi e ad ogni raffica le case di Bengasi tremavano. Il vento spostava le imposte rabbiosamente e i nuovi colpi facevano gemere le baracche degli accampamenti come navi in tempesta.

 Il mare furioso levava il suo gran ruggito lontano, nella vastità profonda, con calore di incendi senza fuoco passava nell'aria. E' questo soffio ardente che dà al ghibli qualche cosa di pauroso e di vivo soprattutto alla notte quando la tempesta vicina e il vento pieno di voci possenti, prodigiosamente caldo, fa pensare ad un alito mostruoso.

Dalle ridotte non era possibile vedere un mestìo lontano prima che la luna sorgesse. Quale ora propizia per il nemico! Io stavo di sentinella. Dal comando un fonogramma circolare aveva fatto avvertire tutti i forti: "si faccia buona guardia".

La ridotta di Sidi Dakis





Fonti delle illustrazioni:
Cirenaica e Tripolitania, Giuseppe Haimann 1886
Settimanale Il Corriere mugellano, tipografia Toccafondi, Borgo S.Lorenzo

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