Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 21 dicembre 2012

L'evoluzione del Castellaccio



Da mansione romana 
a romitorio,
da fortezza medioevale
ad abitazione
della “poetessa” 
Maria Rosa …
di Alessandro Mazzerelli





Il ponte di Biforco 
visto dal  Castellaccio


“BIFORCO (Biforch): nome applicato a varie località, ove si dividono o convergono due strade o due fiumi” .
Con questa semplice definizione lo storico Emilio Rosetti in “ La Romagna “, Ed Hoepli-Milano, 1894 , ci chiarisce l’origine del nome di questa grossa frazione di Marradi e poi prosegue:

“BIFORCO, frazione di Marradi con 2044 abitanti, dei quali 843 concentrati nella borgata situata alla confluenza del Rio di Campigno nel Lamone, due chilometri a libeccio di Marradi, e proprio ai piedi del colle isolato, su cui torreggia la Rocca di Castiglione. Qui pure si divide la strada del Lamone. L’una, la più antica, segue la valle del Rio di Campigno al Passo delle Scalelle e di Belforte; mentre l’altra (ora la più frequentata), continua pel Lamone verso Crespino e al Passo di Casaglia per discendere poi nel Mugello.
In Biforco fu un antico castello, che seguì sempre le sorti della Rocca di Castiglione e di Marradi. Nel 1371 Castrum seu Rocha Bifurchi era posseduto dal Conte Guidone di Battifolle.


Non lungi da Biforco al Passo delle Scalelle, vicino ad Albero, il dì 25 luglio 1358 i fieri valligiani disfecero la terribile Compagnia Grande del Conte Corrado Lando Alamanno facendo lui stesso prigioniero. Costui aveva abbandonato Francesco Ordelaffi messo alla stretta in Forlì dal cardinale Albornoz per passare in Toscana a migliori servigi.

Lanfranco Raparo, la battaglia 
delle Scalelle


Il paese di Biforco, molto frequentato dai passeggiatori domenicali di Marradi, ecclesiasticamente si divide in Biforco di Sopra e Biforco di Sotto. Il primo appartiene alla vicina parrocchia di San Jacopo di Cardeto ed il secondo a quella di San Lorenzo di Marradi. Dell’antico monastero di Biforco, fondato dai Vallombrosani nel 986, come quello di Crespino, non esistono più tracce da molto tempo.”

Secondo Alessandro Mazzerelli, autore dell’articolo “ Il Castellaccio è una mansione romana” pubblicato recentemente su questo blog, e che proprio al Castellaccio ha una sua dimora, l’antica mansione nelle varie fasi di trasformazione subite nel corso dei secoli, ha purtroppo cambiato connotazione e si son perse le tracce del suo utilizzazione come monastero in epoca medievale ma, sostiene il Mazzerelli, questa fu la sede anche dell’antico romitorio come attestato da vari storici.

Nelle “VITE degli Uomini Illustri per Santità della Diocesi di Faenza del B.PIETRO da BIFORCO, Camaldolese, l’anno 1013” leggiamo:

…”Biforco è picciolo castello sopra Marradi, come si è notato nell’antecedente descrizione della Diocesi, territorio una volta, ed oggi Diocesi di Faenza. Quivi era un monastero dedicato a San Benedetto, il quale fu donato da S. Enrico Imperatore a S. Romualdo abate ancora vivente nell’anno 1012, affinché ivi ponesse i suoi monaci del suo instituto, che vivevano in molta osservanza: il che ricavasi da un diploma spedito a detto S. Romualdo da quel principe tanto amante della religione cattolica, che si legge nell’Ugello. E questa concessione fu fatta al santo a richiesta d’Ildebrando vescovo faentino, che bramava d’avere nella sua giurisdizione quel sacro ordine.. 
In questo sacro eremo abitò un tempo il detto santo abate consacrandolo con la sua presenza. Quindi è che sparsi que’ santi romiti per que’ luoghi ebbero poi col tempo altri monasteri e romitori su quelle balze vicine, e in Gamugno ed Acereto fabbricati da S. Pier Damiano, come si disse nella sua vita.

In questo luogo di Biforco vissero in grande santità molti religiosi, e fra questi si segnalò un tal monaco Pietro nativo di questo paese, il quale con titolo di Beato, vien riportato dagli autori, degno che qui ne facciam memoria (…).”

La conferma che il monastero avesse sede nel Castellaccio trova conferma nelle parole del Prof. Giovanni Cavina che in “ Antichi fortilizi di Romagna” cita il Repetti che nel volume I, pag 326 del suo famoso Dizionario alla voce BIFORCO dice: “ La Rocca di Biforco detta il Castellaccio, è posta nel cono di un’alta rupe di macigno presso all’imboccatura dei torrenti di Valbura e di Campigno, i quali si maritano costà col Fiume Lamone . Appellasi questo Biforco di Sopra, mentre la sottostante borgata lungo la strada provinciale per Faenza porta il nome di Biforco di sotto e costituisce il subborgo meridionale di Marradi, dove esiste una bella Chiesa con il soppresso convento dei Frati Serviti sotto invocazione della SS: Annunziata.”

Il Professor Cavina sottolinea che “Il Castello di Biforco era uno dei molti posseduti dai Conti Guidi di Battifolle e di Modigliana e si trova registrato nei privilegi concessi a questa famiglia dagli Imperatori Arrigo IV e Federigo II.”

“Fu fra Castiglione e Biforco dove alloggiò, nel 1358, il Capitano Lando alla vigilia dell’assalto dato al temuto suo esercito dai villani del soprastante Appennino, inviluppando e facendo prigione il conte lando istesso fra Biforco e il Passo delle Scalelle. “ ( Matteo Villani, Cronache Fiorentine).

Il castello di Biforco era munito di una Rocca. Nel Censo dell’Anglico ( 1371), trovasi così descritto: ” Castrum seu Roccha Bifurchi situm est in Provincia Romandiolae super strata magistra, qua itur a Faventia Florentiam iuxta Alpes, cuius Comutatus est in confinibus Castiglionchi, Faventiae, Territorii Ubaldinorum et Comitatus Florentiae.”

La rocca era custodita da :”Unus Castellanus pro Ecclesia recipit in mense flor. VIII.”

Nel Castrum o Villa di Biforco v’erano 55 focularia.

Il Metelli (I, 96-97) fa menzione di “un luogo che da due torrenti che insieme metton capo, era detto Biforco, d’ogni intorno da altissimi monti chiuso, e cinto di aspre e forti boscaglie. Ivi era un eremitaggio ( Anno di C. 986), dove andavano a rifugiarsi tutti coloro che stanchi del travagliato vivere civile si pensavano di avervi a trovare quieta e riposata vita.” Detto eremitaggio fu visitato da San Romualdo, il quale da Parenzo nell’Istria ad esso si portò nell’anno 1003, e trovò molto da ridire sulla inosservanza delle regole da parte dei Cenobiti. Non si tenne dal riprenderli e “ li confortò di non voler reggersi di proprio arbitrio, ma recando tutto in comune e creando invece un Abate, il quale come capo dirigesse il tenore della vita e delle orazioni (…)”
Anche il Notaro Achille Lega fa cenno a questo eremo: “ Biforco prende fama dalle vicinanze dell’eremo al quale dall’Istria venne San Romualdo e in cui abitavano allora alcuni cenobiti: Quiv congiungendosi il Fiume Lamone coll’impetuoso torrente che discende da Campigno, sopra un ponte si ha passo alla sinistra di esso e si giunge a pié dell’erto monte, su cui si estolle una Torre, avanzo del fortissimo Castello di Castiglione.”

Ad ulteriore prova di quanto fin qui esposto, il Mazzerelli afferma che salendo alla Rocca di Castiglionchio, popolarmente chiamato Casatellone, si vede subito il tetto del Castellaccio “il che mi porta a pensare che dal Castiglionchio avvertivano, con segnalazioni ben visibili, cioè un fuoco in cima al Mastio, l’arrivo di eventuali nemici o stranieri, verso i quali da prima si sarebbe mossa la piccola guarnigione del Castellaccio. Il quale che si fosse nel frattempo trasformato da struttura religiosa in una struttura militare, lo evidenzia il fatto che presenta alla sua destra uno sperone che ha muri in pietra di ben due metri e venticinque centimetri, come si evince da due antiche feritoie. Divenne infine un luogo di pedaggio imposto a merci e viaggiatori a favore dei Conti Guidi.
Che il luogo abbia avuto un ruolo militare, oltre che storico, lo si evince anche dal fatto che il Conte Lando mosse la sua Compagnia dal piccolo altopiano del Castellaccio, ove, compiendo la sua soldataglia furti e violenze, finì con il provocare l’eroica reazione dei marradesi di allora che, al Passo delle Scalelle, il 25 luglio 1358, scrissero una pagina di storia imperitura, immortalata dalle parole del Machiavelli che definì i marradesi “armigeri e fedeli” alla Patria Toscana.”

Fonti: Gli scritti degli autori citati, tratti dagli originali. Le illustrazioni sono di Claudio Mercatali



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