Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 29 agosto 2012

Il "Muro" tra noi

 
di Luisa Calderoni
Foto di Sandro Mercatali, " Bucci"


Il Convento delle Domenicane
al di là del muro


C’è sempre un muro tra noi e gli altri, il muro dell’incomprensione, il muro della calunnia, dell’indifferenza, delle differenze di colore, razza, confessione religiosa, il muro della difesa o dell’offesa di un territorio.
Poi c’è il muro che ripara e accoglie…
A Marradi il “Muro” del Convento delle Domenicane separa il mondo dei laici dal mondo religioso, sotto lo sguardo severo del campanile, quasi un dito ammonitore che divide il cielo,  anch’esso, come quello di manzoniana memoria, veramente bello quando è bello.
Di là dal muro pie vergini votate alla preghiera del loro Dio e ad innocenti lavori muliebri. Delle murate vive che nell’isolamento cercano l’ascesi spirituale.
Di qua il mondo dei vivi, siano essi religiosi, atei, agnostici, rossi, bianchi o neri ma comunque votati ad altro: l’esternazione del sé.




Su questo muro scrostato, rugoso, segnato dall’inclemenza del tempo, in questi ultimi tre anni, si è espresso tutto un piccolo popolo che ha voluto mettere in mostra il sé, attraverso la più sofisticata opera d’arte ma anche con il più semplice lavoretto di cucito: dall’intreccio di un filo che si fa altro, dall’ago che guidando un filo disegna la tela e si fa pennello, dal pennello che intride e nasconde e trasforma la tela, anch’essa di semplice filo … e così il cerchio si chiude.


... l'inteccio di un filo che si fa altro ...

Dicevo, su questo muro che simbolicamente potrebbe segnare il confine tra il mondo degli esclusi e quello degli inclusi, a seconda da quale parte del muro si stia o si desidererebbe stare, ha trovato il suo spazio anche Dino Campana, forse il più “escluso” tra i nostri concittadini. Quel Dino che più di molti altri anelava ad esternare il suo mondo interiore per relazionarsi con un mondo esteriore che non era pronto ad accoglierlo, vuoi perché in tutt’altre faccende affaccendato, vuoi perché semplicemente non ne aveva voglia.
Quel Dino che nel 1914 pubblica i “ Canti Orfici”, per la sua gioia e per quella dei suoi amici che si frugarono nelle tasche, ma nell’indifferenza di molti, specie di chi non sapeva come mettere insieme il pranzo con la cena.
Poi la scoperta, l’esaltazione, la celebrazione del poeta de “I Canti Orfici” e, dulcis in fundo, anche un giretto sul “Muro” del convento.

 Nella calda serata di giovedì 9 agosto, il " Muro" è apparso vestito a festa!
Gli studenti di Stefano Scheda, docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna, sul vecchio muro hanno esposto i propri lavori ispirati al tema “La Campana di Dino” , dove il cognome del poeta gioca con la campana della chiesa delle Domenicane che chiama alla prima messa e scandisce la giornata delle suore di clausura.




Stefano Scheda, docente all'Accademia 
di Belle Arti di Bologna
   
A prima vista quante stranezze!!! Uno sventolio allegro di carte sparse, colorate ed eterogenee, come quelle che dovevano tracimare dalle tasche del giaccone di Dino, ha accolto il visitatore, perplesso alla lettura di versi del poeta trascritti da mani sconosciute, incerte, curiose, stupefatte!
Poi l’ombrello che  aprendosi ripara le cose e i luoghi di Dino e protegge una cascata di foto e di altri versi, di altre parole, che danno altre emozioni…

E dietro una porta chiusa fa l’occhiolino Campana, in un ritratto violaceo dagli inquietanti occhi di specchio in cui guardarlo e in cui cercarlo…




















 
Dal poeta alla sua opera:
 il libro che si fa altro, il " Contenitore-oggetto" che trasuda le parole trasfigurandole nella sinfonia di un ricamo d’uncinetto.
Poi ancora la testa del bel Narciso, che ci guarda da un’ umile bacinella in cui l’acqua, strumento di riflesso dell’immagine e sigillo di morte, ci riporta al mito e al canto  di Orfeo da cui forse tutto deriva.





 
E ancora le inquietanti siringhe attraverso le quali non il veleno di una orrida chemio, bensì le parole di Dino, possono entrare in noi come un magico elisir.

... le inquietanti siringhe ...


Non mancano neanche le foto degli ultimi tra gli ultimi, degli esclusi per eccellenza, i barboni, i reietti, i dimenticati da Dio e dagli uomini, trascinanti le loro misere carcasse in pertugi putridi e remoti. Ma sono appoggiate in terra queste immagini come se questi esclusi non fossero degni nemmeno di un chiodo che per un momento innalzasse le loro miserie all’altezza degli occhi dei più fortunati, degli inclusi.



 



Al di là del muro l’opulenza della Chiesa, al di qua del muro, sotto il muro, i miseri che forse saranno i “primi” in un ipotetico cielo, ma che sicuramente ora sono gli ultimi nella loro certa vita terrena.

A suggello di tanta creatività, le foto divertenti e spiazzanti di Stefano Scheda, la “mente” che ha guidato la mano di tanti studenti, il tutto avvolto nel bagno di luce violetta degli strani occhialini Wertmulleriani che ogni visitatore ha indossato almeno per un momento, almeno per curiosità…  .


                                           







Altre foto realizzate da Sandro Mercatali detto " Bucci" nella serata del 9 agosto 2012























 











 










 








Questa serie di fotografie ha colpito molti visitatori.
Una donna sta immobile, coperta da tre sottili veli colorati di sfoglia,  che lentamente si stracciano fino a lasciarla nuda.
Secondo alcuni il significato si coglie confrontando la prima foto, elegante, con l'ultima, nella quale si vede la donna con il volto coperto dai capelli spettinati e senza alcuna posa.


La realtà di una persona è molto diversa dal suo atteggiamento esteriore...


Secondo altri la serie di foto rappresenta l'Italia che progressivamente viene spogliata fino a rimanere completamente nuda ...
Anche questa interpretazione non è male. Magari è meno artistica, però è molto attuale ...


Secondo Scheda la serie di foto è una rappresentazione del male delle donne moderne, l'anoressia, per cui il corpo, inizialmente vestito di ciò di cui si nutre,  e che al contempo vuol negare, progressivamente si libera del cibo mostrandosi indifeso nella sua nudità fisice morale...











































Il tempo è volato, qui alla mostra, proprio come le fotografie e le immagini che la signorina espone appese al suo ombrello








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