Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 21 maggio 2012

Il Tribunale di Marradi

Alcune “malefatte” 
dei Marradesi
dal 1838 al 1847
 di Claudio Mercatali



Con la legge del 7 ottobre 1837 l’ordinamento Leopoldino di Giustizia del Settecento fu modificato. In base alle nuove leggi il Vicario di Marradi, cioè il giudice del tribunale, aveva questi poteri:

  •  Per il danno contro le cose le sue sentenze di solito erano inappellabili fino a 400 lire (era una cifra abbastanza alta) e per importi fino a 800 lire ci si poteva appellare al Tribunale di Prima Istanza di Rocca S.Cassiano, dal quale dipendevano i comuni della Romagna Toscana. Se il danno era ancora più grande si passava al giudizio del tribunale di Firenze.
  • Per il danno contro le persone la legge imponeva che l’ingiuria, la colluttazione semplice, la rissa senza ferimento e altro fossero giudicate dal Vicario, ma per il danno con ferita, con “traccia” come si diceva, bisognava andare in giudizio al tribunale di Rocca S.Cassiano.
Nell’Archivio del Comune, negli atti del Vicariato, ci sono le filze con i carteggi di tanti processi, tenuti dal 1820 al 1860. Quasi sempre si tratta di piccoli episodi di varia umanità, per lo più liti, contrabbando, collutazioni, risse e furti. Per questa ricerca sono state lette le filze dal 1838 al 1847. Come si comportarono i Marradesi in quegli anni? Vediamo:
                                                                                                                              
1 giugno 1838       Il prete cacciatore                La villa di Sessana    
“Al Vicario di Marradi … Il sacerdote Alessandro de’ Pazzi, parroco a Sessana, vi riferisce che la sera del primo giugno 1838 alle 11, udito qualche rumore, uscì di casa e trovò una persona, non riconosciuta stante il buio, che aveva trascinato lontano la sua cagna da caccia e aveva posto una leva fra la soglia e l’uscio della stalla del cavallo e forzato il catenaccio. Rincorse detta persona per i campi ed esplose contro di essa una fucilata con la munizione n°3, ma sparò a stabilita distanza. Tanto si crede di dover far noto a Vostra Signoria.
        L’esponente don Alessandro de’ Pazzi                                                    

8 giugno 1844   Il fiasco

“Spett. Vicario di Marradi, io Giuseppe di Giovanni Valmori, pigionale di S.Adriano, vi rappresento che mentre venivo da Marignano per andarmene a casa, a Fiume di Sotto fui assalito da Lorenzo Maretti, contadino dei Valloni di S.Adriano, e da Luigi Giraldi, contadino alle Bicocche, che cominciarono a bastonarmi incolpandomi di aver preso un fiasco di vino che essi avevano riposto in un casotto del sig. Fabio Fabroni, benché gli dicessi che non avevo preso nulla. Cercavo di fuggire ma essi mi perseguitavano. Faccio istanza che sia proceduto contro i medesimi a tenore delle veglianti disposizioni”.

La sentenza: Non luogo a procedere contro il Valmori per mancanza di prova dell’avvenuto furto e diffida a ripetere gli atti per Giraldi e Maretti.


Il podere Fiume di Sotto




13 giugno 1844   La tangente alla Dogana

I commercianti Luigi Villa e Lorenzo Gondoni, forestieri, il 13 giugno arrivarono alla dogana granducale di Rugginara. Erano le dieci di sera e forse si sentirono offrire un passaggio rapido e notturno della frontiera, dietro pagamento di una tangente al posto delle gabelle. Oppure furono loro a offrire denaro ai gabellieri, che rifiutarono. Sta il fatto che qualcosa non andò per il verso giusto e scoppiò una lite. La merce fu sequestrata e i commercianti denunciarono i doganieri al Vicario di Marradi. La vicenda non era chiara e il Vicario prima di decidere chiese all’ufficio delle Regie Entrate lo Stato di servizio dei Doganieri, che non erano di Marradi, e così scoprì che:
·       Paladini Francesco, Livorno 1809: “sottoposto dal capo distaccamento ad un giorno di arresto per essersi rifiutato di fare il servizio di guardia dal medesimo ingiuntogli”.
·       Marzi Giovanni, colle Valdenza 1804: “sottoposto a calcàto mònito onde impiegasse maggiore fermezza nella direzione di un Distaccamento, per non essere eliminato dal comando dei sottoposti (cioè degradato, cosa poi avvenuta, e trasferito a Marradi).
·       Pasqualetti Pasquale, Cortona 1812 “Sottoposto a mònito per essere attaccato da malattia vene­rea. Otto giorni di arresto di rigore per aver accettato un regalo dal console francese mentre trovavasi di guardia a un brigantino francese carico di merce di contrabbando naufragato nella spiaggia di Mi­gliarino (Pisa)”.

 A destra: ... mentre trovavasi di guardia 
a un brigantino francese ...

I due commercianti si resero conto di aver sollevato un putiferio e allora cercarono un accordo scrivendo questa lettera a Firenze:

Alla Direzione Generale delle Regie Imposte di Firenze
A proposito del sequestro di sedici colli di cotone eseguito il 13 giugno 1844 dalle Guardie di Rug­ginara a noi infrascritti, ci siamo determinati ad avanzare umilissima istanza per il recupero della mercanzia previo pagamento delle gabelle e diamo quietanza discretissima prima dell’inizio del processo. Intendiamo renunziare spontaneamente di buon animo ad ogni risentimento per le offese ricevute.                       
 Luigi Villa e Lorenzo Gondoni           13 agosto 1844

La sentenza: L’Intendenza di Finanza accettò e il Vicario dichiarò chiuso il caso.

31 agosto 1844   La nipote

“Luigi del fu Pietro Ghezzi, domiciliato al soppresso Monastero dell’ Annunziata, rappresenta alla Signoria vostra che il 29 lu­glio, circa un’ora dopo il mezzogiorno, partito dal caffè del sig. Luigi Marchionni per andare a desinare, dopo lo Spedale si senti chiamare per cognome da Domenico Tagliaferri, cappellaio di Camurano, e gli domandò cosa volesse. Costui gli rispose scaricandogli un colpo di bastone fra il collo e il capo dicendo che era tempo che finisse di star dietro a sua nipote. Perciò fa istanza contro il Tagliaferri perché si proceda secondo la Legge”.


La sentenza: Domenico Tagliaferri fu condannato per rissa e ferimento a tre giorni di carcere se­greto a pane e acqua.


A sinistra:  ... e dicendomi che era ora che finissi di star dietro a sua nipote ...

Per leggere i documenti  
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19 maggio 1845    La gravidanza

“Caterina Cappelli, erbaiola dimorante in Marradi, espone che circa due anni fa contrasse amicizia con Eugenio Romagnoli e che l’amicizia aveva come pegno che egli la facesse sua moglie. Venuta in luce la di lei gravidanza il Romagnoli si rifiutò di contrarre con essa matrimonio. La predetta Caterina fa pertanto causa per procedere criminalmente contro Eugenio Romagnoli per il suddetto stupro, a condannargli nella pena sancita dalla legge e alla refusione dei danni. Si portano a testi­moni di questa relazione: Maria Grementieri, bracciante di Marradi e Maria Naldoni, contadina al Chiuso”.   
                                      19 maggio 1845

La sentenza: Innocenza piena per Eugenio Romagnoli, perché “l’amicizia” durava da due anni e Caterina aveva avuto tempo e modo per capire che Eugenio non aveva intenzione di sposarla (in questo genere di processi le donne avevano quasi sempre torto) .

2 agosto 1847 Ancora Eugenio Romagnoli

“Ill.mo Vicario, Luigia Fabbri, fruttaiola in Marradi, vi rappresenta che la sera del 2 agosto, tra le otto e le nove, Eugenio Romagnoli si fece lecito di ingiuriare e di menare uno schiaffo alla comparente, la quale non faceva altro che rimproverarlo di essere stato la cagione che il di lei marito Francesco Fabbri l’aveva picchiata fuor di modo. Il fatto è avvenuto di fronte alla bottega di Eugenia Pratesi, lavandaia in Marradi, e cito per testimoni Angelo Miniati, Pietro Ravagli e Artemìda, moglie di Pietro Solaìni. 
L’esponente fa istanza che sia proceduto criminalmente contro Eugenio Romagnoli a forma della legge.                   3 agosto 1847

Il processo si tenne il 17 agosto e l’esito pareva scontato, ma in aula il Romagnoli portò come testimone Rosa Bombardini, che da una finestra aveva visto la lite:
Domanda: “Il Romagnoli, la sera del 2 agosto diede alla Fabbri della troia puttana e uno schiaffo?”
Risposta di Rosa: “Io di queste cose non so niente. Per me del Romagnoli posso dire che è un bravo giovinotto. La Fabbri ha la lingua troppo lunga”.

La sentenza: Eugenio e Luigia furono invitati a discutere in privato le loro cose e a ripresentarsi. Nella seconda udienza ognuno di loro firmò quietanza all’altro e il processo finì.

8 ottobre 1847  E  fiò de fré

“Le Regie Guardie granducali espongono alla Signoria Vostra (il Vicario) che la sera dell’ 8 ottobre 1847 il noto pregiudicato Carlo Sartoni, detto “e fiò de fré” (il figlio del frate) vagava per il paese con aria minacciosa e in onta al precetto del ritiro serale dal quale era vincolato, e si era allertata la popolazione contro di lui. All’oggetto di prevenire disordini le Guardie Regie si portarono presso il domicilio del Sartoni, con il caporale Stefano Barnabò.
Il Sartoni insofferente vibrò un colpo di coltello a Barnabò e fortunatamente non lo ferì essendo esso riuscito a ripararsi chiudendo l’ uscio”. Chi era Carlo Sartoni? Il Vicario volle leggere la sua fedina penale e così scoprì una lunghissima serie di reati: arresti domiciliari per ingiurie, danneggiamenti, tre giorni di carcere per rissa, sottoposto a divieto di consumare alcolici, furto, e poi apprese anche che il 20 dicembre 1844 era stato condannato dal precedente Vicario per resistenza, fe­rimento e spergiuro a tre anni di pubblici lavori alle bonifiche di Grosseto, dai quali lavori era tornato da poco.

La sentenza: Carlo Sar­toni fu inviato al Tribunale di Rocca S.Cassiano e poi ad altri Tribunali.

 Estratto della fedina penale 
di Carlo Sartoni



Bibliografia Archivio storico del Comune filza 2015 doc. 60, 103, 183, 325, 418, filza 2016  doc 594.
 Si ringrazia Antonella Visani, responsabile dell'Archivio storico, per la collaborazione offerta.

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