Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 20 luglio 2011

LA CONSORTERIA DEI CERONESI

 
Breve storia della Consorteria
dei Ceronesi dal Trecento
al Cinquecento
di Claudio Mercatali

 La torre di Ceruno


I Ceroni della nostra zona sono originari della valle del Sintria e del Senio, e avevano grandi proprietà nella zona di Zattaglia e Casola. Da quelle parti c’è anche una bella casa - torre che si chiama Torre di Ceruno, ristrutturata di recente.
Le notizie sulla famiglia sfumano nelle cronache dell’alto medioevo e diventano sempre più fantasiose e leggendarie via via che si va indietro nel tempo. In casa Ceroni prevaleva di gran lunga un'invidiabile abilità nel fare. Nelle antiche notizie storiche i Ceroni si trovano spesso descritti con le armi in pugno per difendere i propri interessi o perché mercenari, ma la loro forza era anche nell’abile maneggio del denaro. La maggior parte delle notizie si ricava dal De Ceroniae gentis, di don Domenico Mita (1627), che però è uno storiografo un po' di parte, essendo lui stesso un discendente di un ramo dei Ceroni.
Pare che da Baldassarre Ceroni abbiano preso origine i Baldassarri, da Laulo Ceroni i Loli, da Rinaldo i Rinaldi Ceroni e da Ravaleo i Ravagli. Uno dei rami più citati nei vecchi documenti è quello dei Ceroni Ficchi, che si formò quando i Ficchi, ricchi commercianti perugini, nel 1225 fuggirono in Romagna dopo una delle tante lotte fra guelfi e ghibellini e poi ottennero dai Manfredi, signori di Faenza, la proprietà di Calamello, nell'alta valle del Sintria, dove c’era una torre che oggi è ormai rasa al suolo ma è segnata come sito archeologico nelle carte topografiche.
L’intreccio delle parentele era fitto e in più quelli che abitavano vicino alla torre di Ceruno erano chiamati Ceroni anche se non imparentati. Per questo la “Consorteria dei Ceronesi” era una vera e propria associazione di fatto fra famiglie diverse accomunate da interessi fortemente condivisi. La maggior parte dei Consorti abitava sopra Casola Valsenio, in una zona detta Settefonti, allora isolata come si conviene per i siti abitati da gente con molti nemici, ma ora raggiungibile con una comoda strada asfaltata (vedi qui accanto). Le vicende di tutti costoro sono secolari e non è possibile riassumerle qui. Ora conviene limitarsi ad alcuni gustosi episodi, che riguardano soprattutto i Ficchi e i Ceroni di Marradi. Chi vuole ampliare può leggere i testi citati nella bibliografia o cliccare sul sito dei diretti interessati, all'indirizzo www.Consorteria dei Ceroni.

L'imbocco della Strada dei Ceronesi
(Casola Valsenio) ... Clicca sulla foto.

Dalla Cronichetta Ceronia citata dallo storico Francesco Maria Saletti (1660 circa) apprendiamo che nel Trecento la Consorteria era già forte e in grado di aggregare gente armata per difendere la collina romagnola e quindi anche le loro proprietà, e infatti:
 “…250 cavalieri prodi e valenti, 300 masnadieri, tutti di montagna, gente bellicosissima …” furono messi in campo su richiesta del Papa per difendere Imola dalle pretese dei Visconti di Milano. Il clan era in frequente e duro contrasto con i vicini e i concorrenti e questa litigiosità raramente si risolveva in un accordo, ma sfociava in accanite dispute e prove di forza.

Da Saletti apprendiamo che il 28 ottobre 1525 Guido Vaina, capo dei ghibellini di Imola e amico di Ramazzotto de' Ramazzotti, signore di Tossignano:
“ ... per prostrare e reprimere i Ceroni, radunò più di duemila armati e se ne venne alla volta della Torre dei Ceroni, dove si trovava il capitano Raffaele, che fattosi anch’esso forte della famiglia sua, vi aspettò l’insulto della contraria fazione, ma prima rinchiuse nella torre le donne dei Ceroni e sotto di essa fece porre fasci di legna, col pensiero che se la fortuna fosse stata adversa, di attaccarvi il fuoco, perché se il nemico avesse prevaluto non si potesse vantare con la vita d’avergli levato anche l’onore …”
Non si sa cosa dissero le donne della famiglia quando furono chiuse nella torre, ma la battaglia fu vinta e non successe nulla. Probabilmente le signore non rischiarono più di tanto, perché da altre fonti (Le Memorie di Luigi Angeli, 1828) sappiamo che la moglie del capitano Raffaele era la figlia di Ramazzotto.
Però, come in ogni clan che si rispetti, le liti violente e autentiche non mancarono. La disputa fra i Ceroni Lancieri e i Ceroni Ficchi nel 1530 fu drammatica. I Lancieri a Casola Valsenio uccisero due Ficchi mentre uscivano dalla chiesa e dopo due o tre anni i Ficchi uccisero un parente dei Lancieri vicino ad Imola. Insomma era scoppiata una fàida che si preannunciava lunga. Fu così che una parte dei Ceroni Ficchi decise di rifugiarsi a Marradi presso i Fabroni e gli altri Ceroni che risiedevano da tempo qui in paese, ma questo non bastò a placare gli animi.

L'ambiente attorno 
alla torre di Ceruno

Tutto questo ce lo racconta lo storico Antonio Metelli, e ci dice anche che:
“ … I Lancieri temevano che andando quelli lontano scappasse loro di mano l’occasione, e camminando di notte si ricolsero chetamene in un bosco, che sovrastava la via non molto lungi da Biforco, e ivi celati fra le fronde li aspettarono al varco. Non appena albeggiava il giorno, i Ficchi movendo da Marradi incapparono nelle insidie e furono da archibugi e balestre fulminati. Il loro capo Tempronio Ficchi anch’esso versava sangue per un giavellotto infissogli nella schiena, e si ricondusse cogli altri a Marradi, ove poi per quella ferita, da tutti riputata lieve, se ne morì non senza sospetto che la punta fosse stata aspersa di veleno …”.

I Ceroni di Marradi, grandi proprietari terrieri e commercianti di carbonella, legna, granaglie e sale, erano arrivati in paese nel Quattrocento. Essendo originari della valle del Sintria, è probabile che una parte dei loro traffici prendesse quella direzione, per vie traverse in modo da evitare la dogana granducale e quella pontificia. Alla metà del Cinquecento erano così ricchi da competere con i Fabroni, che però furono sempre i preferiti dai Medici. L’inimicizia esplose nel 1563 quando il vecchio Pelinguerra Fabroni fu ucciso dai Ceroni mentre andava in chiesa. Il Granduca Cosimo I, informato del fatto, mandò a Marradi una schiera di armati che distrussero le case dei Ceroni e uccisero diversi di loro. I più fuggirono nel Sintria e a Casola Valsenio, dove le truppe del Granduca non potevano inseguirli, perché la zona era nello Stato Pontificio. Allora si studiò quello che oggi definiremmo un “blitz oltre confine”, che avvenne nel settembre del 1563.


La distribuzione attuale
del cognome Ceroni


Sentiamo come racconta il fatto lo storico romagnolo Francesco Maria Saletti (1660):
“ … La famiglia dei Ceroni avria molto coraggio, ma il dimicare con manifesto svantaggio con quasi infiniti inimici non è coraggio ma pazzia. Cosimo dunque incolerito per gli omicidij commessi nel suo dominio, col consenso del papa Pio IV, mandò nella valle del Senio Angelo Guicciardini con otto bande di soldati e altre duemila persone, per pigliare e ammazzare alcuni dei Ceroni che non  curavano di giustificarsi davanti al Granduca perché non erano suoi sudditi. Anche i ministri del Papa mandarono mille fra soldati e sbirri ma pigliarono solo il capitano Lorenzo di Broccolo e Bartolomeo di Africa detto Saulino, tutti e due dei Ceroni e li condussero a Firenze dove furono decapitati. Stette il Guicciardini a Casola per cinque giorni e li soldati saccheggiarono e rubarono ogni cosa in quella valle e quello che non potettero portar via lo ruppero e lo tagliarono, come viti, alberi e altro.
Bruciarono 120 case e produssero un danno di centottantamila scudi e allora i Ceroni mandarono a Roma il monsignor Babbino Ceroni per dire l’infelice caso successogli ma solo l’anno 1577 furono ricevuti dal nuovo Granduca Francesco de’ Medici, che li liberò da tutti i bandi…”.

Dunque la famiglia Ceroni di Marradi fu bandita dal Granduca per sedici anni e riabilitata solo dopo la morte di Cosimo I. A quanto pare anche i Ceroni di Marradi tenevano in poco conto i compromessi e sembra proprio che fossero l’opposto dei diplomatici e inaffondabili Fabroni. Però questo fatto era stato grave e si doveva patteggiare. Siccome i Ceroni non potevano rientrare nel Granducato e i Fabroni non si fidavano ad andare nello Stato Pontificio, l’accordo si fece nel febbraio 1569, a Campora di Popolano, sul confine, appena fuori dal Granducato. Dai documenti dell’ Archivio Mediceo citati dallo storico Giuseppe Matulli risulta che:
“ … Il 13 febbraio 1569 si fece questa utilissima e santa pace con allegrezza e soddisfazione delle parti, che si ridussero alla Badia di Campora, nel terreno del Papa ove concorse un popolo infinito a veder la cosa …”.
Il confine di regione alla Badia di Campora

Bibliografia
I Commentari di Francesco Maria Saletti; La via del Grano e del sale di Giuseppe Matulli; De Ceroniae gentis ... ecc ... di don Domenico Mita (discendente di un ramo dei Ceroni); La storia dei Ceroni, del mons. Giancarlo Menetti, arciprete di Casola Valsenio (1998); Cenni storici sulla valle del Senio, di Pietro Salvatore Liguerri Ceroni (1829); Il potere di una Consorteria: I Ceroni nella valle del Senio, di Cristina Baroncini; Storia della Val d’Amone di Antonio Metelli; sito www La consorteria dei Ceroni.

giovedì 14 luglio 2011

Non sempre “piana” fu la strada del Francini…

 
1970   Al Consiglio comunale viene proposto
di intitolare una via ad Anacleto
di Luisa Calderoni e Francesco Cappelli.


Uno scorcio di via Francini


Nel 50° anniversario della morte, in un incontro tenutosi presso il Centro Studi Campaniani Enrico Consolini, è stata ricordata la figura di Anacleto Francini, giornalista, commediografo e poeta marradese, noto anche con lo pseudonimo di “ Bel Ami ”.

La delibera n°30 del 23 novembre 1970 del Comune di Marradi volta ad intitolargli una via cittadina, in prima istanza fu respinta dal Ministero dell’Interno, Direzione generale dell’ Amministrazione Civile, in quanto non era stata adottata con voto unanime dei presenti.
Il Consiglio comunale discusse questo tema una seconda volta e si giunse ad una decisione unanime. Con la delibera n° 68 del 14 settembre 1971, si decise di intitolare ad Anacleto Francini il tratto di strada nel capoluogo di Marradi, che inizia da …”Via Cà di Vigoli e termina al “Deposito gasolio nafta” di proprietà di Vanni Marco … tratto stradale praticamente senza alcuna intestazione toponomastica, trattandosi di zona denominata complessivamente “Casone”.

La casa natale, a Casa Carloni

Ma come erano andate le cose nei due consigli comunali e chi si era opposto alla proposta dell’ Assessore alla Pubblica Istruzione, Signor Enrico Consolini?
Al Consiglio Comunale del 23 novembre 1970 l’Assessore Consolini aveva illustrato la figura e l’opera del Francini con una dettagliata  relazione, come segue:

“ … Anacleto Francini durante gli anni universitari svolge un’intensa attività in Marradi come commediografo, seppure allo stato originario e di futuro giornalista. Sono gli anni delle sue prime rappresentazioni al teatro locale degli Animosi. Fra le più importanti di dette rappresentazioni è rimasta famosa , nel suo genere, quella denominata “Femmina”. Intenso è pure il lavoro di redazione . Infatti egli redige per primo il giornaletto locale denominato “Il Marciapiede”, nel quale figurano, fra l’altro le prime liriche del giovane Francini. Segue poi a breve tempo, “Il Marciapiede alla Ribalta” che ricalcando le orme del fortunato predecessore, vuole essere la rivista umoristico -satirica del luogo. Un anno dopo dalla inventiva geniale del Francini avrà vita un’altra interessantissime rivista, “Lo Zibaldone” a contenuto comico – satirico – sentimentale.
Dopo il servizio militare prestato come Ufficiale di complemento, Anacleto Francini entra come redattore al giornale “Ettore Fieramosca” di Firenze, viene successivamente chiamato alla redazione del “Panaro” di Modena ed infine fonda a Firenze il giornale “Il Tempo”, gli anni che seguono fanno capo a Torino, città nella quale espleta il servizio di redattore della “Gazzetta del Popolo”, prima e al giornale “Il Pasquino”, poi dovrà partire per la Grande Guerra in qualità di Ufficiale dell’esercito, da prima col grado di capitano, indi con quello di maggiore, distinguendosi rapidamente in molti combattimenti, conseguendone decorazioni al merito. Fatto prigioniero sul “Monte Osvaldo” il 16 aprile 1916, viene inviato ad Ostffyasszonyfa e là fonda il giornale dei prigionieri “ L’Eco di Ostffyasszonyfa” che sarà felicemente ricordato dalla “Domenica del Corriere” con documenti e fotografie.


 Anacleto, il terzo da sinistra, 
al campo 
di concentramento.


Sempre in campo di concentramento, studia varie lingue, scrive canzoni patriottiche e invia corrispondenze al “Corriere della Sera”.
Tornato finalmente a Torino nel 1919, al termine del primo conflitto mondiale, diviene redattore capo de “La Gazzetta del Popolo” e in collaborazione con l’Avv. Miaglia fonda un nuovo genere di spettacolo: la rivista, facendosi chiamare “Bel Ami”, appellativo che lo renderà celebre e che si ispira ad un personaggio del Maupassant. Ormai “Bel Ami” è famoso in tutta Torino e la sua presenza nei circoli artistici e  letterari dell’ex capitale italiana è ormai divenuta indispensabile e doverosa.
La prima rivista ad ottenere uno strepitoso successo di pubblico e critica è “No così non va” a cui seguiranno, rappresentate nei più celebri teatri di Torino (tra cui il Trianon), di Roma, Milano, Genova e Firenze: Il piroscafo giallo, Le Sorelle Siamesi, La bisbetica sognata, Milioneide, Il segno dell’Aquila, Sua eccellenza la Spugna, Il ratto delle cubane, Il Saladino, Pioggia di Stelle, La Carrozza, Attenti alla vernice, Ripassi domani, Venga con noi, Così va il mondo. e altre. Scrive inoltre commedie in dialetto torinese e suggerisce, con alcune operette e riviste, i soggetti per alcuni film di successo a cui partecipano protagonisti famosi come Wanda Osiris, Totò, Macario.
Lasciato il lavoro alla La Gazzetta del popolo, Anacleto Francini viene chiamato alla R.A.I. torinese per curare una rubrica domenicale “Vogliamoci bene” che dura 45 minuti e scrive con Dino Falconi un’avventurosa vicenda continuando il successo per oltre un anno. L’ultima produzione, per certi aspetti chiaramente poetica, “Bianco Fiore”, non verrà dal Francini purtroppo mai terminata.

 Anacleto, il primo a sinistra, 
durante la Prima Guerra Mondiale


Alla sua morte, che avviene il 18 giugno 1961, Anacleto Francini sarà commemorato da molti giornali italiani e anche dalla R.A.I. Negli ultimi tempi, trattando dell’originalità della rivista teatrale del nostro Paese, ne ha parlato e ricordato le singolari doti, anche la Televisione italiana".

Così termina la circostanziata ed esauriente relazione dell’Assessore Consolini. E fin qui tutto bene e niente da eccepire… ma a questo punto prende la parola il consigliere di minoranza Idilio Baracani, segretario della sezione del P.C.I. di Marradi, uomo tutto d’un pezzo e di specchiata integrità morale, nato comunista, morto comunista, stimato da tutti nel paese a prescindere dalle sue idee politiche… Baracani, come risulta nell’atto
" ... fa osservare che la dedica di questa Via è collegata ad una precisa richiesta dei parenti dell’Anacleto Francini, in corrispondenza ad una cessione di terreno da effettuarsi dagli stessi al Comune di Marradi per l’allargamento della strada che conduce al Cimitero di questo capoluogo.
D’altra parte è bene chiarire subito le posizioni e cioè che sarebbe l’ora di pensare di dedicare Vie in relazione a tutto ciò che è stato fatto per la nuova democrazia. Ho forti dubbi circa l’espressione del mio voto per la dedica di una Via al Francini, soprattutto in relazione al fatto che il giornalista stesso fu al servizio di un determinato ceto e di una determinata società che ha servito esclusivamente i “ padroni” ( tra virgolette nel testo).”

La votazione dà questi risultati: 
Presenti n.17-votanti n.10- astenuti n.7
Voti favorevoli per la dedica di cui sopra n.10.

Come detto sopra, la deliberazione fu respinta dal Ministero dell’Interno e rinviata a tempi migliori, cioè all’anno successivo quando pur ribadendo quanto già espresso nel consiglio dell’anno prima, il consigliere Idilio Baracani e il suo gruppo votarono favorevolmente alla titolazione della via al nostro “Bel Ami”.

Fonti: Archivio del Comune di Marradi. Le foto d'epoca sono tratte da Tarabusi, Marradi com'era.

martedì 5 luglio 2011

LO SCIOPERO DELLE SETAIOLE NEL 1911

 

Le operaie protestano
e manifestano davanti
al Comune
di Claudio Mercatali

  

Il bombix mori, o baco da seta, è un insetto che ad un certo punto della sua vita si racchiude in un bozzolo e compie la metamorfosi. Dopo qualche tempo fora il bozzolo e esce sotto forma di farfalla. Questa nuova vita dura poco, appena il tempo per deporre le uova. La lavorazione della seta consisteva nel far bollire il bozzolo prima che il baco lo forasse, per ricavare il filo intero, che veniva avvolto in un fuso. Il tutto richiedeva tanta manodopera, soprattutto femminile, e le operaie addette a questo si chiamavano filandaie o setaiole.




NOTA:  Il testo degli articoli si ingrandisce se si clicca sopra e poi con il tasto destro si apre il menu "visualizza immagine".


















La filanda Guadagni, Nati, Vespignani





La filanda più grande di Marradi, quella vicino alla stazione ferroviaria, fu distrutta da bombe d’aereo nel 1944, ma agli inizi del Novecento impiegava duecento donne, in un lavoro duro, con le mani nell’acqua bollente e turni di lavoro massacranti. Per questo, mercoledi 11 gennaio 1911 ci fu una protesta contro la proprietà, che rifiutava certe concessioni. Le setaiole sospesero il lavoro e in corteo andarono sotto il Comune, per chiedere un intervento del Sindaco, l’ing. Vincenzo Mughini, che era stato appena eletto.




Ecco qui accanto come raccontò il fatto il corrispondente del Corriere mugellano, che era presente …

  



Era cominciato un contenzioso fra le operaie e il padrone. Si trattava di una protesta spontanea, senza copertura sindacale e a termini di legge le operaie non potevano scioperare così. Secondo le norme dell’epoca una sospensione del lavoro fatta in questo modo dava diritto al padrone di licenziare. Questo divenne chiaro quasi subito, con il procedere della protesta, tanto che due noti socialisti del paese, Luigi Maestrini e Attilio Vanni, che sostenevano le richieste delle operaie dovettero rinunciare a difendere le lavoratrici.

Ecco qui accanto come andarono le cose ...


 










 










Dunque le povere operaie non ottennero niente e:
 “… giovedi 19 alle cinque e un quarto (!) si è sentita la sirena annunciare la riapertura e queste povere lavoratrici sono corse alla filanda a riprendere l'usato lavoro”.


venerdì 1 luglio 2011

L'ITALIANO PURO

La fonetica dell’italiano
a Marradi
e nella Romagna-Toscana:
una risorsa da conoscere
e valorizzare

La Romagna Toscana prima del 1923 (in giallo)


Il confine linguistico fra le cadenze fonetiche dell' Italia settentrionale e della Toscana è sull' appennino e su questo si attenuano quasi tutti gli influssi dialettali, fino a far nascere un italiano puro. Questa è la tesi sostenuta dal dr. Walter Scarpi in un recente studio e qui di seguito c'è un estratto delle sue argomentazioni, nei punti salienti. Il testo completo della ricerca è presso la biblioteca di Marradi, in formato cartaceo o digitalizzato. Leggiamo:

Nel 1861 meno di un italiano su dieci parlava italiano. Questo raffinato erede del latino parlato, era solo la lingua dei pochi che avevano avuto modo di studiare. I dialetti locali regnavano incontrastati. Anche oggi l'italiano parlato è segnato da spiccate marche di pronuncia regionale che permettono di identificare con chiarezza la provenienza del parlante. In questo panorama un' eccezione è rappresentata dalla Romagna-Toscana e in particolare dall'Alto Mugello. Lo spartiacque appenninico (lungo la cosiddetta linea La Spezia-Rimini) è il confine tra le lingue neolatine orientali (Italiano e Rumeno) e quelle occidentali (Spagnolo, Francese, Catalano, lingue gallo-italiche). Una  cultura di tradizione celtica fermata nella propria espansione meridionale dalla barriera degli Appennini interseca qui l'elemento etrusco con caratteri che, uniti al dominio fiorentino degli ultimi seicento anni, fanno della Romagna-Toscana un'area linguistica mista.
Nella Carta dei Dialetti (Pellegrini 1977, figura a lato) vediamo il territorio del comune di Marradi diviso in due parti. Nel capoluogo la matrice della cultura popolare è romagnola mentre nelle frazioni dell'alta valle del Lamone, in particolare a Crespino e Campigno, si parlano già dialetti toscani. A partire dalla seconda metà del '900, con il progressivo abbandono del dialetto, a Marradi si profila una situazione in cui l'italiano parlato è quasi del tutto esente dalle tipiche marche di pronuncia regionali, sia toscane che romagnole, che qui tendono a fondersi. La pronuncia ideale dell'italiano, che altri devono apprendere faticosamente nelle scuole di dizione, trova qui un terreno dove può essere appresa o migliorata parlando con la gente. Questa particolarità è dunque un bene culturale immateriale che va riconosciuto e indagato. Non solo: può e deve rappresentare alla stregua di altri “prodotti tipici” un valore e un punto di forza. Conviene allestire una cornice di intese istituzionali in cui gli attori presenti sul territorio (agenzie formative, enti, accademie, associazioni, privati ) possano collaborare nel fornire servizi rivolti a insegnanti di italiano, immigrati, studenti universitari e stranieri in vacanza - studio.

Liberamente tratto da: Fonetica dell'italiano a Marradi e nella Romagna Toscana:
una risorsa da conoscere e valorizzare,    
22 febbraio 2010     Walter Scarpi

Che cosa si intende per lingua italiana pura? E' un patrimonio di tutti nell'Alto Mugello? I glottologi ci spiegano che:   Per “italiano puro” si intende un italiano senza cadenze locali rispetto alla pronuncia ritenuta corretta. Qui da noi le eccezioni  alla omogeneità linguistica sono:
  • ·                 I Dialettofoni storici, cioè i nati prima del 1945 (28% dei Marradesi) che hanno ricevuto un imprinting dialettale che lascia tracce considerevoli nel loro italiano.
  • ·                 Gli immigrati, perché l'immigrazione (e la migrazione di ritorno) è uno dei presupposti dell' ibridazione culturale intesa come valore.
  • ·                 I flussi storici dal sud Italia che sono ormai assorbiti, perché l'acquiescenza linguistica si afferma in genere alla seconda generazione. A Marradi i residenti stranieri sono il 5%.
  • ·                 I residenti non abituali e frequentatori non residenti sono quelle persone che risiedono sul territorio (insegnanti, tecnici, professionisti) conservando il linguaggio d'origine.

Come ragiona il glottologo? Che metodi usa per le sue indagini? Ecco qui di seguito il metodo di perimetrazione delle aree linguistiche di cui stiamo parlando:
Lungo il crinale appenninico, le zone più significative per la ricerca di un italiano puro sembrano due: Alto Mugello e Alto Reno. L'Alto Mugello è l'unico territorio all'incrocio di due parametri fondamentali per l'italiano puro: appartenere alla ristretta area (fiorentina) reputata culla della lingua italiana, e al tempo stesso essere attraversato dalla linea La Spezia Rimini, confine linguistico di rilievo europeo. La prima nozione da assimilare come strumento utile all'indagine è il concetto di isoglossa: una linea immaginaria che segna il confine entro il quale è diffuso un dato fenomeno linguistico. Le lingue romanze si suddividono nelle famiglie: occidentali e orientali (vedi sopra). Le lingue romanze orientali includono l'italiano e il rumeno, mentre lo spagnolo, il portoghese e il francese sono del gruppo occidentale, così come le lingue dell'Italia settentrionale: venete, gallo italiche e il gruppo retoromanzo (composto da romancio, ladino e friulano). Il confine tra lingue romanze occidentali ed orientali è interno al suolo italiano, segnato da un numero d'importanti isoglosse riunite nella cosiddetta "Linea La Spezia-Rimini, che si vede qui sotto.  Rohlfs (1937) osserva che lungo questa linea:  si arrestano i cosiddetti «fenomeni gallo-italici». Questa frontiera linguistica ha dunque le sue ragioni principali nell’ostacolo naturale ma nell'antichità è stata anche una frontiera etnica fra i popoli gallici e l’elemento etrusco. Limitandoci ora a considerare il suo ruolo nella linguistica italiana, rileviamo nella figura qui accanto che la linea La Spezia-Rimini è un fascio di isoglosse. La Linea La Spezia-Rimini divide nettamente il territorio dell’Alto Mugello tra un’area gallo-italica e una toscana.

L’odorosa pantera
Dante Alighieri è stato il primo a indagare i dialetti d'Italia, alla ricerca del “Latium Vulgare”: la lingua teoricamente parlata e intesa ovunque in Italia. Ma un volgare che fosse anche illustre, cardinale, aulico, curiale: un italiano elevabile a dignità letteraria, l'italiano già lingua di una nazione e di un popolo. Quella lingua che, come un'odorosa pantera, si sentiva in ogni luogo e non dimorava in nessuno. Nell'opera De vulgari eloquentia (1303 - 1304), Dante dà una prima classificazione dell'Italia dialettale. Rileviamo come elementi utili alla nostra riflessione almeno alcuni argomenti:  a) Appennino come confine Per prima cosa Dante divide i dialetti in due gruppi secondo i due versanti, tirrenico e adriatico, dell'Appennino «il quale, come la cima di una grondaia sgronda da una parte e dall’altra le acque che gocciolano in opposte direzioni …».

Quale dovrebbe essere la pronuncia corretta della lingua nazionale? I modelli sono sostanzialmente quattro: 
  • ·                 quello tradizionale, il modello fiorentino temperato, prescrive una pronuncia di base fiorentina senza i fenomeni dialettali più vistosi, come l'aspirazione delle consonanti occlusive intervocaliche detta “gorgia”.
  • ·                 quello detto dell'italiano neutro, astratto e ideale. In questa ottica il parlante modello sarebbe quello del quale non si rieesce ad individuare la regione di provenienza.
  • ·                 quello detto “lingua toscana in bocca romana”, affermatosi in particolare durante il ventennio fascista, che è una mediazione tra la pronuncia romana e quella toscana.
  • ·                 quello che accetta alcune varianti dell’italiano settentrionale per quanto riguarda la distribuzione delle vocali semiaperte e semichiuse.

Riteniamo che nella Romagna-Toscana e in particolare nel territorio marradese i nativi parlino, un italiano che trova corrispondenze in primo luogo nei modelli 1 e 2, mantenendo alcune aperture verso il modello 4.  La cosa singolare è che la maggioranza della popolazione italiana crede di parlare italiano, quando invece parla quasi sempre un italiano regionale marcato. Afferma Antonio Sorella nel suo Manualetto di dizione, “conosco […] un numero grande di meridionali che sono convinti di dire cugino ed invece pronunciano cuggino, o di settentrionali che pensano di dire pazienza invece di pasiensa. La cosa sorprendente è che queste stesse persone riescono a percepire ed a valutare come “erronee” tali pronunce quando le ascoltano sulla bocca, per esempio, dei giornalisti del proprio TG Regionale” (Sorella 2001 p.48). A quanto pare dunque continuiamo a essere un popolo di “dialettofoni inconsapevoli”. 

Carta dei dialetti

Insomma alla fin fine, nell'Alto Mugello siamo Toscani o Romagnoli dal punto di vista linguistico? Walter Scarpi conclude che:
Senza pretendere che in altre zone d'Italia non si possano realizzare le condizioni per un italiano puro, restiamo fedeli all'assunto per cui la pronuncia ideale dell'italiano è un'astrazione che può manifestarsi “naturalmente” solo in un territorio fiorentino che impatta la linea La Spezia-Rimini formando, non una linea di confine più o meno sfumata, ma un'area ibrida autonoma.  La Romagna-Toscana o Romagna fiorentina è una sub-regione storica che corrisponde all'estensione massima settentrionale raggiunta dal comune e dalla repubblica di Firenze, su confini rimasti inalterati per circa 600 anni finché c'è stato il Granducato di Toscana. Nel 1923 una consistente porzione nel versante adriatico di questo antico territorio fu incorporata nella provincia di Forlì. La parte rimasta amministrativamente in Toscana corrisponde alla zona definita Alto Mugello, che comprende i tre comuni di Firenzuola, Palazzuolo sul Senio, Marradi. Al termine di questa prima sommaria ricognizione lungo la linea La Spezia-Rimini, riteniamo l'Alto Mugello nel suo complesso candidabile a essere considerato e riconosciuto come uno dei pochi territori italiani estremamente significativi nell'ottica dello studio e della successiva valorizzazione dell'italiano puro, nell'accezione e nei limiti sopra indicati.

Fonte  Il testo è un riassunto estremo del saggio del dr. Walter Scarpi: Fonetica dell'italiano a Marradi e nella Romagna Toscana: una risorsa da conoscere e valorizzare,    22 febbraio 2010