Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 4 marzo 2011

1595 Serafino Razzi


Un predicatore abile
e fantasioso
di Claudio Mercatali


Serafino Razzi nacque nel 1531 a Rocca San Cassiano, dove suo padre, ser Populano Razzi, di Marradi, era funzionario granducale. Suo fratello Silvano, di quattro anni più vecchio, era un frate camaldolese sempre intento agli studi. Invece Serafino, frate domenicano, girò per mezza Italia, perché era un abile predicatore, con fantasia nell’esporre e facilità di parola. I due fratelli ebbero una certa notorietà come scrittori, da vivi e anche dopo, tanto che nell’Ottocento qui in paese venne a loro intitolata una strada, via Razzi appunto, che quasi tutti chiamano “la stréda nova”. Ora leggeremo alcuni passi del “Giardino d’essempi, ovvero Fiori delle vite dei Santi”, in cui Serafino descrive dei fatti che lui assicura come veramente accaduti a peccatori di vario genere. Però in realtà i suoi raccontini non sono altro che delle specie di parabole fantasiose che usava per catturare l’attenzione dei fedeli durante le prediche. La chiave di lettura per quello che segue è appunto questa, perché i frati domenicani erano dei predicatori professionisti e tenevano in serbo una serie di aneddoti più o meno facili da capire e ricordare, che usavano a seconda della platea che avevano di fronte. Si tratta di un libro di 319 pagine, stampato a Venezia nel 1595, con aggiunte negli anni successivi e ora useremo l’edizione del 1599, della stamperia Zanetti . Leggiamo:

  • Il digiuno Serafino Razzi

"Essendosi fatto religioso un certo nobile giovane, dove prima al secolo era pallido e scolorito, per la sacra astinenza e la vita regolata che si effettuava in quel monasterio, divenne in poco tempo di buon colore, fresco e giocondo ed essendo venuto a visitarlo il Vescovo e vedendolo con così buona ciera, gli domandò come aveva fatto a divenire così colorito e bello. A cui il giovane rispose la causa di ciò essere stata peroché nel monasterio egli viveva uniformemente e decentemente. Onde dalla uniformità del cibo egli aveva la sanità e dalla decenza la bellezza. Addimandando il Vescovo la qualità del cibo che aveva mangiato, il giovane rispose che quel dì aveva mangiato piselli e herbe e il dì avanti herbe e piselli e l'altro? Herbe, disse, con piselli: "Pisa cum olèribus, òlera cum pisis, pisa et òlera, òlera et pisa". Il Vescovo riconobbe i proverbi essere veri, i quali dicono la varietà dei cibi essere pestilenziale e la natura di poco cibo e uniforme più si contenta e si mantiene”.

  • L'usura

Leggesi nel Libro dell'Api come in una chiesa di Francia, sopra la porta della Cattedrale era stata posta l'immagine di un usuraio scolpita nella pietra, cioè di un uomo con un sacco di denari in spalla. Ed ecco che volendo entrare in detta chiesa un certo nominatissimo usuraio, subito, quasi miracolosamente, spiccandosi detta pietra con la imagine, dal muro cadde in testa dell'usuraio e l'occise subitamente e rendé l'anima ai Dèmoni”.

  • L'eresia

... Un Vescovo ariano (perciò eretico) cercò di organizzare un finto miracolo e successe che ….

“Si narra di uno che per cinquanta scudi datigli da un Vescovo Arriano si finse cieco e se poi non era (abiurando l'eresia) sovvenuto da Vescovi Catholici, si rimaneva cieco per da vero ...".

  • I mormoratori

“Essendo morto il Vescovo di Lione, si lamentava il prete della chiesa in cui era stato sepolto perché niente nel suo testamento aveva lasciato e aggiunse ancora il poco divoto prete che bene alcuni avevano ritenuto stolto il Vescovo e che la sua stoltezza aveva eziandio nella morte dimostrata, non avendo cosa alcuna lasciata alla chiesa in cui era sepolto. Ma ecco che la seguente notte, apparendogli il vescovo assieme a due altri vescovi disse: fratelli, questo prete mi ingiuria e non considera che la più preziosa cosa che io lasciare potessi a lui l'ho lasciata e cioè la terra del mio corpo. E rivoltandosi il vescovo al predetto prete mormoratore gli diede molte guanciate e pugna, peccatore, dicendo, degno di castigo. Al risveglio il prete si trovò tutta la faccia e la gola enfiata e se ne stette per quaranta giorni a letto con molti crucci".

  • La confessione

“Venne una volta certa buona donna ai piedi di un prudente confessore e disse: tanti venerdì l’anno io costumo digiunare, tante limosine io costumo di dare, tante volte ciascun giorno io visito la chiesa. Il savio confessore disse interrompendole la parola, a che fare, donna, siete venuta ai piedi miei? Perché non dite i vostri peccati? E rispondendo ella che non si sentiva rimordere la coscienza di alcuno, egli ne addimandò quale fosse l’arte sua. E dicendo che ella vendeva vino la interrogò se essa mai vi mescolava l’acqua e rispondendo che sì, egli soggiunse che è peccato grave vendere l’acqua per vino, e anche dire bugie è peccato, e se sono perniciose sarà mortale”.

  • Le hore ( = orazioni) canoniche

“In certa Chiesa, cantando dei preti le sacre hore canoniche con alta voce ma senza la dovuta devozione, fu veduto da un buon uomo che era presente, un Demonio che stava in luogo rilevato e nella mano sinistra teneva un grande e lungo sacco e con la destra distendendola raccoglieva le voci di coloro che così vanamente cantavano e le cacciava in detto sacco. Finito l’officio, mentre tra di loro si vantavano di aver bene e fortemente cantato, udirono dirsi dall’uomo religioso la visione che aveva avuta”.

... e con la destra distendendola raccoglieva le voci di coloro che così vanamente cantavano (pg 136) ...

  • Il diacono peccatore

“Celebrandosi, un certo dì solenne la Messa alla presenza di Carlo Magno, accadde che il diacono che doveva raccontare il Vangelo, nonostante che la notte precedente avesse peccato con una femmina, presunse di presentarsi a quel sacro altare e anche raccontare il Vangelo, senza essersi prima confessato. E fin qui tollerò la sua grandissima imprudenza e sfacciataggine la Divina bontà: ma quando si venne all’atto di stendere le mani per la Comunione, avendo le mani tanto impure e la coscienza macchiata, non potè più la divina vendetta soprastare. Onde un ragnatello velenoso, calandosi dal palco dell’oratorio per un filo suo, punse il lussurioso diacono sopra la testa, e questo cadde morto in terra”. (Pg 135).

  • L’ospitalità

“Narra Leandro bolognese, religioso di S.Domenico, come in una città della Romagna detta Bertinoro, erano gli abitatori e i cittadini di quella tanto dediti all’ hospitalità, che per fuggire le contentioni che tal’ hora nascevano sopra di ciò in frà di loro, rizzarono in piazza una colonna con tanti anelli di ferro attorno quanti erano i padri di famiglia. E quando veniva un forestiero se havea cavallo, smontando lo legava a un degli anelli e se era pedone lo toccava e subito era condotto all' hospitio in casa di colui di cui era l’anello tocco”.

La colonna dell'ospitalità a Bertinoro c'è ancora.


Alla fine del libro Serafino si congeda così dai suoi lettori:

“da Fiesole il dì 6 giugno 1595, della mia negligentemente impiegata età, sessagesimoterzo anno”.

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