Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

domenica 24 marzo 2024

I Goti qui da noi

I passaggi dei barbari
nella Val di Lamone

Ricerca di Claudio Mercatali




Certe vicende storiche importanti si trovano ben descritte nei libri riferite alle località dove si conclusero con una battaglia, senza considerare le località circostanti che pure di sicuro furono coinvolte anche se il fatto non si concluse lì.
E’ il caso dei passaggi dei Goti nella Valle del Lamone, alla caduta dell’ Impero Romano, nei secoli V e VI d. C. che non hanno lasciato traccia nel territorio e nella nostra memoria collettiva. Il loro passaggio fu una tragedia perché erano barbari alla ricerca di una nuova patria e si spostavano rapinando quello che serviva per sopravvivere.

Il primo grande passaggio, anno 405 d.C

Nell’ultimo periodo dell’ Impero Romano 200.000 Ostrogoti (Goti d'oriente) provenienti dalla Pannonia (circa l’odierna Ungheria) al comando del loro capo Radagaiso invasero l'Italia. Scavalcarono l’appennino e giunsero vicino a Firenze. Erano divisi in tre eserciti e quello rimasto in pianura fu massacrato dalla cavalleria dei Romani, mentre gli altri che erano fermi a Montereggi o Mons Regis, dietro Fiesole, non trovarono sorgenti d’acqua e nell’ agosto del 405 dopo una strenua resistenza si arresero. Centomila Ostrogoti morirono ed altrettanti furono catturati e venduti come schiavi al prezzo delle pecore (una moneta d'oro ciascuno). 



Quell’ anno deve essere stato drammatico anche per gli abitanti della valle del Lamone, perché di certo diverse colonne di Ostrogoti la percorsero per arrivare nel Mugello, devastandola in cerca di cibo e di cose da predare. La Historiarum adversus paganos libri septem (I sette libri di storie contro i pagani) è un trattato di storia di Paolo Orosio, scritto negli anni 417 e 418 che descrive anche questa vicenda della quale l’autore fu testimone. Lo stesso fatto è ben descritto anche dallo storico del Settecento Antonio Muratori, come si può leggere qui sotto. 




Il secondo grande passaggio, 
anno 542 d.C

Dopo la fine dell’Impero Romano l’Italia fu invasa anche dai Visigoti e scoppiò una guerra con i Bizantini che cercavano di riconquistarla. Il conflitto durò per circa 50 anni e ridusse la penisola alla miseria più nera. Nel 552 d.C. prevalsero i Bizantini. Ora siamo nel giugno 542 e Totila, l’ultimo re dei Goti combatte le ultime battaglie, assedia Faenza, poi risale la valle del Lamone e sconfina nel Mugello. 

I Bizantini lo bloccano fra Borgo San Lorenzo e Scarperia e da Ravenna arriva un altro esercito bizantino a rinforzo, lungo la valle del Lamone. La sconfitta dei Goti sembra certa e invece … Leggiamo il racconto dello storico Procopio di Cesarea, testimone della vicenda.

Anche questo fu un anno tragico per gli abitanti della valle del Lamone, tartassati due volte: prima dal passaggio dei Goti e poi da quello dei Bizantini che li inseguivano.



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lunedì 18 marzo 2024

Dino Campana a Castelpulci

Nel peggiore dei mondi possibili

di Lorenzo Bertolani, 
da www infinitetracce


La facciata di Castelpulci,
oggi scuola per Magistrati


Una particolare testimonianza da me raccolta alcuni anni fa a Scandicci, è quella della signora Alina Barbetti, figlia di Ettore Barbetti, infermiere a Castel Pulci sin dal 1910. 



Verso la fine degli anni Venti, il Barbetti, per motivi politici, venne abbassato di grado e preposto alla dispensa del sanatorio. Intorno al 1928 gli venne affiancato, come aiuto, Dino Campana. Ecco alcuni passaggi della vivida testimonianza di Alina:


Campana stette in dispensa col mio babbo dal ‘28 fino alla sua morte. Ricordo bene che Campana è venuto alcune volte a mangiare a casa mia accompagnato dal babbo. Io stavo a Rinaldi e davanti a casa mia di là dalla strada c’era un muricciolo dove si stava sempre a sedere. «Vieni, vieni» diceva il babbo a Campana «ci si siede qui, non si dà noia a nessuno, si aspetta che la massaia ci abbia fatto da mangiare». La massaia era la mia mamma. Allora io ho questo ricordo bello di Campana e del mio babbo che parlavano tranquilli sul muricciolo vicino al fiume, e parlavano tanto! Da Castel Pulci a casa mia ci venivano a piedi e poi, quando tornavano, risalivano per il bosco sul sentiero che portava al manicomio.

Devo dire che non l’ho mai sentito parlare di poesia. Campana aveva anche momenti cattivi ma erano più i momenti buoni che quelli cattivi. Questo anche perché era più guidato, forse perché si sapeva che era poeta, era più seguito anziché essere lasciato nelle camerate o negli stanzoni. In fondo io di Campana ho l’impressione di una persona normale, per come l’ho conosciuto io.





Di questa bella testimonianza, rimane alla mente l’immagine nostalgica del ritorno di Campana nel ricovero, sul sentiero attraverso il bosco, un percorso che il poeta avrà affrontato con passo agile e avvezzo, come quando camminava nelle foreste, sui monti «risentendo la prima ansia», verso La Verna, sulle tracce della “povertà ignuda” del «caro santo italiano» Francesco.



martedì 12 marzo 2024

Il terremoto del 22 marzo 1661

Il sopralluogo 
di Giovanni Battista Pieratti

Ricerca di Claudio Mercatali



Il granduca Ferdinando II avuta notizia di un terremoto nella Romagna Toscana, mandò l’arch. G.B. Pieratti a fare un sopralluogo, in ognuno dei paesi devastati. Questa che segue è la sua relazione:

A dì 28 Marzo 1661

Ci partimmo di Firenze per arrivare in Romagna per veder le rovine, cagionate dal terremoto. Non sentimmo niente di rovina insino à San Godenzo, dove era rovinato un camino, e fatto alcune fessure nella chiesa metropolitana di non troppa considerazione, e con grande spavento de’ popoli. E di lì arrivammo a Castel dell’ Alpe dove era rovinato la chiesa più di mezza, e tre case del medesimo luogo similmente rovinate, et il restante delle case non si potevano abitare, et i popoli dormivano alla campagna. 


Arrivammo poi à Premilcuore e vedemmo nel castello la rocca che minacciava rovina, e si era aperta in grado, che non credo si possa fare di meno di scapezzarla a una parte, acciò non faccia rovinare alcune case contigue, e fui pregato add’ arrivare alla chiesa della parrocchia per vedere quello avrei fatto, perché non rovinasse; gli dissi che facessero due catene, e lui dette ordine di comprare i ferramenti che vi bisognavano, et alcune case di detto luogo avevano patito. 


A Santa Sofia trovammo la pieve rovinata, dove io ne ho levata la pianta come è grande, et insieme la spesa che ci vuole a rassettarla. E tutte le case di detto castello la maggior parte rovinate e crepate dentro à segno tale che pochissimo si possono abitare, e la rocca di detto castello si è aperta e crepata in grado che se rovinasse cadrebbe addosso ad alcune case contigue e farebbe moltissimo danno, e ci è morto otto persone, e molti feriti da dette rovine, e tutti i popoli abitano alla campagna. E di qui arrivai ad’ un luogo detto Pianetto, dove trovai, che la chiesa parrocchiale era scoperta in più luoghi, e non si poteva ufiziare, e stava serrata perché non seguisse maggior danno ai popoli, e così ne levai la pianta, e considerai la spesa. E contiguo alla medesima chiesa ci è un convento de Padri Francescani dove la lor chiesa patisce e minaccia rovina, e particolarmente il coro è di considerazione e vuol rovinare, e perciò ne levai la pianta, e la spesa che ci voleva a rassettarlo. Et il convento di detti Padri ha molte stanze aperte, e cinque stanze rovinate del medesimo convento, e tutte le case, che si ritrovano in questo luogo sono rovinate dentro in modo, che non vi si puole stare. E poco lontano a Pianetto, ci è un luogo detto il Mercatale, dove sono parecchie case, che sono rovinate in maniera, che non visi abita, e ci è morto in questi luoghi da 26 persone, e molti feriti, e tutti i popoli di questi luoghi dormono alla campagna. 


Sono arrivato alla terra di Galeata dove trovai la chiesa della parrocchia cattedrale rovinata à un segno che da una parete della chiesa in poi è spiantato affatto, e ne disegnai la pianta e considerai la spesa che è di considerazione; e tutte le case di detto luogo sono in terra la maggi r parte e le altre case stanno in grado, che ci vuole della spesa à poterle abitare. E per non vi esser maestranze da poterle puntellare, gli detti animo che li puntellassero, e così in due volte che ci sono stato hanno rimediato à molti pericoli che sarebbono accaduti, e n’è morti in detto luogo tra dentro e fuori 51 e molti feriti, e detti popoli dormono in campagna. 


Mi sono trasferito poi alla Rocca à San Casciano dove trovai la chiesa cattedrale rovinata, e ne levai la pianta per considerar la spesa siccome ancora per rassettare il luogo dove abita il Podestà e la torretta dove stà l’oriuolo per considerar la spesa. In quanto alle case della terra sono rovinate à segno che non si può camminar per le strade e nessuna di quelle case restate non si può abitarle senza resarcirle, e detti popoli dormono parte in piazza, e parte alla campagna, e dicono ne sia morti34 e cinque dicono non si sieno ancor trovati. 


E dalla Rocca arrivai à Portico dove trovai la chiesa cattedrale scoperta in modo che non si puole ufizziare, e considerai la spesa, sì come ancora il palazzo del Podestà, e la torretta dove stava l’ oriuolo è cascata più di mezza, et ancora la fortezza del castello è mezza rovinata e bisognerà scapezzarla, et una parte di case rovinate di dentro, che hanno di bisogno di rassettare à volerle abitare, e qui non si dorme alla campagna.







Arrivai ancora à Terdozzio, dove trovai la chiesa cattedrale rovinata quasi affatto, e ne levai la pianta per considerar la spesa. Sì come ancora il convento delle Monache dell’Annunziata in detto luogo, e ne levai la pianta. Et il palazzo del Podestà è in malissimo grado, una parete di detto palazzo su la strada Maestra che vuole sbonzolare, e si è fatta puntellare acciò non segua maggior danno, e moltissime case hanno bisogno di restaurare à volerle abitare, et è morto solo una donna in dette rovine di questo luogo. 

E dopo arrivai à Modigliana, dovesi è trovato la cattedrale in maniera, che non ci è rovine, e cisi puole uffizziare, e non ci è danno di considerazione. È ben vero che il mastio della fortezza è scoperto, et è rovinata quasi tutta la coperta, e lo hò visitato su luogo, et ò considerato la spesa, come anco altre particolarità di detta fortezza. 

A Marradi poi ò trovato la cattedrale di questo luogo, che hanno puntellato una parte di detta chiesa, che è in sù la strada Maestra, che rovinerebbe al sicuro se non l’avessero aiutata con i puntelli, sì come ancora il tetto delle navate piccole laterali si sono lontanate in maniera che non si può far di meno di rassettarle, à voler che si abiti detta chiesa, e considerata la spesa; sì come ancora il palazzo del Capitano ci è di bisogno resarcire una parete dell’oriuolo, et altre stanze di maniera, che bisogna restaurarle di nuovo, e molte fessure che riescano nelle prigioni di detto palazzo, e nelle case poi ci è pochissimo danno.
A Palazzolo poi, stante la pioggia non ci sono arrivato; è ben vero che il signore Cancelliere dice esserci di bisogno di rassettare la cancelleria, et ancora alcune cose dentro il palazzo, che son di necessità. Questo è quanto mi occorre dire per la visita di Romagna. È ben vero che le case del contado di tutti questi luoghi sono tutte per terra. E questo è quanto occorre dire.

Umilissimo et devotissimo di V.S. Ill.ma Giovanni Battista Pieratti


A Marradi è’ rimasto qualche ricordo di questo sisma, uno dei più gravi mai capitati in questa zona? Si, ce ne sono diversi.


Il più facile da trovare è nella relazione dell’ architetto Fallani che nel 1780 presentò un progetto per rifare la chiesa arcipretale di San Lorenzo. Da lui sappiamo che l’edificio danneggiato nel 1661 venne rinforzato alla meglio accumulando terra a fianco dei muri sbilenchi, lungo la strada, che era sullo stesso tracciato di quella odierna. Rimase così per 120 anni perché non c’erano i soldi per far di meglio. Nel progetto dell’architetto c’è anche un disegno della facciata della chiesa antica, con i muri piegati. Nel 1780 l’edificio non era recuperabile e fu demolito per far posto alla chiesa attuale.



Sul fianco della chiesetta di San Martino in collina, al confine con Tredozio, il parroco don Vincenzo Vespignani pose una lapide a ricordo dei lavori di riparazione che lui aveva fatto a sue spese.




Dall’ Archivio storico del Comune di Marradi affiorano diverse lettere che parlano di questo sisma. 




Nelle due qui accanto gli Uffici di Governo di Terra del Sole (dove allora c’era il Delegato granducale) sollecitano il pagamento delle tasse e il Cancelliere di Marradi chiede un rinvio perché in cassa non c’è un soldo a causa del terremoto …





Come dice l'architetto Pieratti nella sua relazione Modigliana e Marradi  furono i due paesi meno colpiti dal sisma, almeno in termini di morti e di sfollati. Per questo in ambedue i paesi venne fatto un ex voto alla Madonna che stabiliva una processione solenne ogni anno il 22 marzo, giorno del terremoto. A Marradi si teneva ancora nel 1873, come risulta da questo permesso richiesto dal cappellano della chiesa arcipretale (in quel tempo le processioni dovevano essere autorizzate). Erano passati 212 anni e quasi nessuno si ricordava più del voto del 1661 ma il terremoto qui da noi è un evento che si ripete e la gente accetta volentieri una benedizione, anche se ormai sappiamo che lascia il tempo che trova.